Anche i nani hanno cominciato da piccoli, ci diceva Werner Herzog nel 1970. Traduciamo: anche Stanley Kubrick ha iniziato da un cortometraggio. Si chiama Day of the Fight e dura sedici minuti. Per il primo film, lo sconosciuto (ai più) mediometraggio Fear and Desire, chiese in prestito diecimila dollari allo zio farmacista. Non li restituì.
Questo per dire che il corto, arte invisibile in quanto commercialmente incollocabile, è sempre stato e sempre sarà il trampolino del cinema. Passaggio obbligato, croce e delizia di aspiranti cineasti sparsi sui quattro continenti.
Il corto vive nei festival (a parte quelli della Pixar, che trovano alloggio più lussuoso nei dvd Disney) e, da qualche anno a questa parte, su Internet. Cresce e prospera grazie ai circuiti occulti del passaparola e di rassegne alle quali il grande pubblico, quello a cui piace abbronzarsi davanti alle esplosioni di Michael Bay, non andrebbe mai.
E fa male: perché i festival sono divertenti, stimolanti e, come se non bastasse, frequentati da belle ragazze e cinefili alla Clark Kent, occhialuti in superficie ma pieni di sorprese sotto la camicia.
Tutti, quindi, al Lago Film Fest 2013. Fiore all’occhiello del panorama festivaliero nazionale. Una rassegna giovane, fatta da giovani per giovani (siamo ridondanti per una ragione: il cinema italiano ha le rughe), che illuminerà Revine Lago (TV) dal 19 al 27 luglio.
Ci saranno i cortometraggi, divisi in internazionali (38 titoli) e nazionali (19), con un occhio di riguardo agli autori veneti, una sezione dedicata ai bambini e una ai film sperimentali. Ci saranno tanti workshop, di cui uno sul documentario, tenuto dall’irlandese Tomás Sheridan. C’è anche un concorso di sceneggiature.
Siamo andati a caccia, tra Vimeo, You Tube e siti personali, di alcuni dei corti firmati da nostri connazionali. Tanto per tastare il polso del futuro cinema italiano. E siamo….anzi: sono (perché il giornalismo si dà sempre del noi?) rimasto scioccato dalla qualità di questi prodotti.
Le tette di una diciottenne, di Luca Gennari, a partire da un titolo geniale, è una corsa di undici minuti in taxi per le strade di Roma, in compagnia di un tassista volgare, sessuomane, che non la smette mai di parlare e che nasconde una grande malinconia. Il protagonista è uno Stefano Ambrogi colossale. Gennari ha girato tutto con un iPhone4S.
Cargo, di Carlo Sironi, è un disperato noir metropolitano su una prostituta dell’est e sul ragazzo che la deve tenere d’occhio e l’ama. Of Your Wounds, di Nicola Piovesan, girato in Svezia, racconta il peso delle violenze infantili attraverso visioni ipnotiche e metaforiche, da rubare il sonno. Poi c’è il cartone animato post apocalittico Djuma, di Michele Bernardi, con un bimbo lupo che incendia una città in rovina prima di rivoltarsi contro il branco che l’ha adottato. Meglio se stai zitta, di Elena Bouryka, ha un cast da kolossal: Valeria Solarino, Donatella Finocchiaro, Claudia Pandolfi, Claudia Potenza, Antonia Truppo ed Emilia Verginelli.
Certo: questo è il meglio del meglio, una selezione che vanta passaggi a Cannes, Venezia, Roma e diversi appuntamenti internazionali. Non ci troverete i corti dei “maestri” di provincia in sciarpetta da Zeffirelli ed erre moscia; né quelli degli studenti di alto intelletto e nessun talento che amano il bianco e nero, la Francia e le minestre riscaldate. Neppure quelli di chi si definisce professionista ma non conosce il tasto della messa a fuoco. Gente che di “film” ne produce venti all’anno.
Questa è l’Italia che dovrebbe stare in prima serata su Canale 5, al posto di Garko e della Arcuri; che dovrebbe regalarci telefilm all’altezza di quelli americani e inglesi; che dovrebbe spodestare gli “autori” della commedia e del dramma italiani dai loro scranni bavosi. Questo è il futuro che ci è negato. Il talento che qualcuno ha il coraggio di dirci che non esiste più: meglio tenersi “il governo dei morti” di bellocchiana memoria. E invece c’è. Lo trovate a Lago. Ditelo in giro.