I creativi dell’America Latina fanno incetta di premi ai grandi festival internazionali dell’advertising. I fantasisti del calcio sono spesso brasiliani o argentini. Insomma, quando si tratta di dar libero spazio all’immaginazione, Cile, Brasile e Argentina non sembrano avere problemi.
Potrebbe essere così anche per il fashion system. Per promuovere i talenti sudamericani, il 9 settembre scorso si è tenuto un evento speciale nello Spazio Bossi-Clerici a Milano: Latin Trends, un progetto ideato da Lorena Garciarena, che ha presentato le creazioni di dodici stilisti diversi. Invece di proporre una panoramica complessiva, però, preferisco segnalare quelli che mi hanno colpita di più per originalità, nel quadro di un nuovo modello di globalizzazione. Non quella dei jeans cuciti da ragazzini-schiavi, quanto una globalizzazione positiva (chimera?) che valorizza i tratti distintivi delle singole nazionalità – con le rispettive tradizioni artistico-culturali e artigianali – per farli approdare ad una platea mondiale. In tal modo, li rende scevri da eccessivi orpelli folkloristici, assicurando un respiro più ampio e moderno.
È il caso del marchio messicano Pineda Covalin, che incarna le antiche espressioni culturali messicane, però declinate con un twist contemporaneo. Per la collezione primavera estate 2016, i tessuti sono ricchi di lavorazioni e ricami multicolori. Le stampe sembrano aver rubato i loro colori variopinti alle ali di qualche farfalla Vanessa. Non mancano simboli e rievocazioni culturali, ad esempio il richiamo agli amates, tipici dipinti su corteccia d’albero di Xalitla Guerrero.
Esuberanti anche le creazioni di Lenny Niemeyer. In particolare, il suo beachwear è amato da top model come Gisele Bundcheh. E se ne comprende subito il motivo: linee sensuali, scollature vertiginose, ma, nonostante ciò, i costumi – specie quelli interi – hanno un’eleganza d’altri tempi, da diva. Esaltano il corpo femminile e sembrano i corpetti di un abito da sera d’alta moda, ricchi di rifiniture e dettagli.
A volte, invece, sono i materiali a sorprendere, come accade per La Joya design e i suoi capi in rame. Sì, proprio il metallo che siamo abituati a vedere sotto forma di pentole. In questo caso, subisce una metamorfosi e diventa maglia.
Trine eteree e bagliori cangianti, frutto del connubio fra nuove tecnologie e moda, ma anche fra scienza e coscienza etica. Perché le materie prime utilizzate da La Joya design mirano a sperimentare alternative sostenibili a quelle convenzionali. Con un vantaggio ulteriore: il rame ha una naturale attività antimicrobica (adatta quindi anche allo sportswear) e proprietà rigeneranti nei confronti della pelle. Davvero non male.
Degno di nota è anche lo slow design della cilena Natalia Yanez. La sua collezione di accessori interpreta i concetti di nuovo lusso e produzione lenta. Utilizza, tramite tecniche tradizionali, materiali provenienti dal mondo dell’architettura, in un’ottica di ricerca progettuale ed uso del design come volano di sviluppo locale.
Perché forse, se sostenuta da valori e talento, la globalizzazione può non essere il mostro a sette teste che crediamo.