Il genio dell’arte contemporanea o un abilissimo commerciante? Uno dei più famosi e controversi artisti al mondo, ancora in vita, torna, dieci anni dopo dal suo più grande successo ed eccolo qui a Palazzo Grassi con un ritorno che definirlo in grande stile è un eufemismo.
Damien Hirst l’avevamo lasciato nel 2008, quando vendette tutte le nuove opere della serie Beautiful Inside My Head Forever ad un’asta di Sotheby’s, senza passare per la tradizionale mediazione delle gallerie ma vendendo direttamente al pubblico. Fu un successo enorme con un incasso di 111 milioni di sterline, il record per una singola d’asta di un artista vivente, ma divenne anche una leggenda perché successe nello stesso giorno in cui il fallimento di Lehman Brothers diede inizio alla crisi economica mondiale.
Damien Hirst, torna con Treasures from the Wreck of the Unbelievable, una mostra allestita dalla curatrice Elena Geuna in quattro mesi, aperta al pubblico dal 9 aprile a Venezia fino al prossimo 3 dicembre. L’attesa è stata enorme e il contenuto della mostra è stato tenuto nascosto fino all’ultimo momento.
Dentro alla nuova mostra di Hirst troverete il mare, ma il mare vero, quello dei tesori che emergono. Tutto parte da un’operazione di recupero di alcuni oggetti, naufragati insieme a un relitto misterioso circa duemila anni fa al largo dell’Africa orientale. L’intera operazione è stata finanziata dalle tasche dell’artista e i 189 oggetti recuperati dal vascello naufragato sono oggi esposti all’interno della mostra. Ma non sono quelli che vi aspettate. Hirst e i suoi collaboratori hanno rielaborato questi tesori del mare mescolando materiali antichi e contemporanei, come il bronzo e l’oro con l’acciaio e i LED, busti di divinità egizie, greche e induiste con statue di Topolino e Pippo, modellini dei Transformers, Mowgli che gioca con l’orso Baloo e due autoritratti di Hirst che si spaccia per Cif Amotan, il proprietario della barca affondata.
L’impressione è che Hirst abbia voluto salvare, ricreare e reinventare questi tesori del mare mescolandone gli stili e confondendone le linee temporali.
L’opera diventa un gioco ed insieme una metafora e una critica al mondo dell’arte: «tutto sta in quel che volete credere».
La storia del vascello è molto più lunga, la leggenda in cui si avvolge anche, il lavoro artistico creato dalla mente di Hirst forse ancora di più. Non vi svelo nulla, questa è una di quelle mostre imperdibili. Non si sa più cosa dire. Eh, beh, solo, wow.
Preparatevi a spazi infiniti: si parte da Punta della Dogana. E si conclude con due mani in malachite in atteggiamento di preghiera. L’arte è una religione, o quantomeno qualcosa che funziona solo se ci si crede.
Amen.