Se avete seguito le nostre Instagram Stories nei giorni scorsi, saprete già che Bobos è stato uno dei media internazionali invitati a seguire l’inaugurazione dell’esposizione “Jan Fabre – Ecstasy & Oracles”, uno dei Manifesta 12/Collateral Events inserito nel cartellone di eventi di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018.
Il 6 luglio abbiamo trascorso una giornata intera tra Monreale e Agrigento, scoprendo le diverse location di un ambizioso progetto che combina la storia archeologica siciliana e il linguaggio iconico di uno degli artisti belgi più interessanti degli ultimi decenni, di cui sono esposti oltre cinquanta lavori realizzati tra il 1982 e il 2016, oltre a due inediti creati per l’occasione. In programma dal 7 luglio al 4 novembre, l’evento è curato da Joanna De Vos e Melania Rossi, organizzato da MondoMostre e promosso dalla Regione Siciliana – Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana. Il catalogo è edito da Skira.
Partiti da Palermo alla volta di Monreale, una volta giunti al complesso monumentale della Cattedrale di Santa Maria Nuova è stato evidente fin da subito il decisivo intervento di Rossi e De Voos. Le curatrici sono state in grado di integrare simbolicamente e materialmente l’architettura della Cattedrale e dell’ex Dormitorio dei Benedettini, con alcuni pezzi iconici di Fabre come “L’uomo che porta la croce” e una selezione di mosaici realizzati con corazze di scarabeo “gioiello”. È qui che il ciclo di vita, morte e rinascita incarnato dallo scarabeo, da anni sorta di animale-feticcio dell’artista, trova un parallelo con la sacralità del complesso, nonché una connessione con la tecnica del mosaico bizantino che decora l’interno della Cattedrale.
Lasciata Monreale per Agrigento, arrivati in città ci siamo inizialmente spostati su piccoli kart tra una location e l’altra: nella chiesa di Santa Maria dei Greci, nel monastero di Santo Spirito e nella Biblioteca Lucchesiana hanno trovato spazio diverse opere raffiguranti la tartaruga. Nella riflessione di Fabre è questo l’animale oracolare per eccellenza, simbolo di immortalità e saggezza (ma anche connessione con il proprio passato e con due veri esemplari che possedeva e osservava attentamente, Janneke e Mieke, protagonisti di alcuni suoi film e performance degli anni ’70), in grado di trasportare il cervello umano – e per estensione l’uomo nella sua totalità – verso la conoscenza di cui è essa stessa depositaria.
Dopo una sosta al Museo Archeologico Regionale “Pietro Griffo” per vedere l’installazione con i due busti bronzei “L’artista che non può vedere la sua stessa tragedia?” (2018), abbiamo raggiunto la Via Sacra della Valle dei Templi proprio sul filo del tramonto. Avvolti da una radiosa golden hour, i resti dei templi dorici hanno fatto da contraltare ad una serie di installazioni tramite cui Fabre ha di fatto instaurato un dialogo con quanti, prima di lui, hanno sfidato il trascorrere del tempo erigendo strutture dedicati alle divinità elleniche, stabilendo un ponte tra la dimensione terrena e quella divina.
Se all’interno di Villa Aurea si possono visionare decine di disegni, sculture e modelli che ripercorrono decenni di carriera dell’artista, è all’esterno, nei pressi del Tempio della Concordia, che è stata eretta una delle opere più suggestive: l’inedita Vergogna su tutta la terra!, una performance su cinque schermi che vede Stella Höttler nei panni di una profetessa in estasi mistica, interpretata dall’attrice con un’intensità che non lascia indifferenti.
Qui, per qualche istante, mentre il sole tramontava siamo stati catapultati indietro nel tempo, a quando i miti di Cassandra e della Pizia spalancavano porte affacciate su altri mondi. Universi che Fabre ha tentato di riproporre con “Ecstasy & Oracles”, confrontandosi con il passato senza sfidarlo, ma aggiungendovi un proprio personale tassello, una parte di un tutto più grande, come i mosaici a cui si è a tratti ispirato.
Dal nostro corrispondente: Nicolò Gallio